Il CUBO E LA PROMESSA

Personaggi: Luigi e Aldo



Incontrai per caso Luigi, da Pomigliano d’Arco, nell’enorme edificio della Mostra d’Oltremare, a Napoli, dove ci cimentammo nell’esame scritto per il concorso di ammissione all’Accademia. Entrambi idonei, nel settembre del 57’, decidemmo di viaggiare insieme. Arrivammo a Modena, per gli esami orali. Via Roma, pioggia battente, pomeriggio da incubo. Eravamo stanchissimi, distrutti, 10 ore di viaggio in 2a classe con cambio a Bologna. Già da allora le nostre Ferrovie non brillavano per comodità. Entrammo in Accademia dalla porta carraia. Qualcuno ci attendeva. Un anzianissimo maresciallo, nei magazzini, ci consegnò una montagna di effetti personali e “letterecci”. “Aspiranti Allievi” tuonò poi un giovane e zelante “divinissimo e cattivissimo anziano” istruttore del 13° corso, “Sbrigatevi, qui non si scherza”. Ci condusse in una camerata del maestoso “Palazzo”, ci indicò due brande a castello invitandoci a fare il “cubo” (allestimento di materasso, lenzuola e coperte in forma ordinata). Luigi, con atteggiamento ironico, accennò una protesta confessando candidamente di ignorare cosa fosse il “cubo”. Chiesi se si poteva mangiare qualcosa. L’istruttore fece la voce grossa e pronunciò la fatidica frase “Non avete capito niente dell’Accademia”. Cosa ci fosse da capire in quella circostanza è rimasto un mistero. Il messaggio dell’istruttore era chiaro: “presentazione non conforme alle regole”, deferimento alle autorità superiori.
Il giorno successivo venimmo condotti a rapporto dal Capo Ufficio Studi, il “terribile” Maggiore Irbicella che ci inquadrò con piglio severo dicendo che l’ammissione all’Accademia per due “tipi” come noi sarebbe stata problematica. “Gli esami sono durissimi e, dal vostro atteggiamento, penso che difficilmente possiate superarli. “Non ho problemi”, rispose tempestivamente Luigi, “Sono sicuro di poterli superare”.
Sostenendo il mio amico profferii analoghe affermazioni. L’Ufficiale Superiore ci congedò bruscamente.
Superammo entrambi brillantemente gli esami, quindici giorni di sofferenza. Stavamo lasciando l’Accademia per il previsto periodo di licenza, prima dell’inizio del corso, quando fummo convocati dall’Ufficiale di picchetto e successivamente condotti di nuovo presso l’Ufficio Studi, a rapporto dal “terribile” Maggiore Irbicella.
L’Ufficiale ci accolse con un perfetto saluto formale battendo i tacchi. Sorridente ci strinse la mano. “Complimenti, avete mantenuto la promessa. L’Accademia si onora di accogliervi”.
Mantenni rapporti di fraterna e cordiale amicizia con Luigi, ragazzo sveglio, preparato. In accademia si distinse nelle attività ginniche e negli studi meritando la qualifica di “istruttore”. “Le notti di cabiria”, così recita la vignetta che indica la sua immagine nel numero unico – 3a Sezione – seduto con le mani strette al volto davanti ad un tavolo sgangherato, in una notte stellata, pensieroso, contornato da tanti libri. A Torino, durante il primo anno di corso, dividemmo la stessa stanza d’affitto nei pressi di Porta Nuova. Improvvisamente, prima del termine dell’anno accademico, Luigi lasciò la Scuola d’Applicazione. Andò via senza una parola, senza un saluto. Qualcuno disse che aveva dato le dimissioni. Negli anni successivi, anche con altri amici del 14° cercammo di rintracciarlo ma invano.
È il tempo dei ricordi. Chi ricorda il mio amico Luigi, di Pomigliano d’Arco, “nu’ buono guaglione”, forte e verace come la sua terra, intelligentissimo, alto, dinoccolato, capelli rossi, volontà di affermarsi e riuscire? Forse lasciò il gruppo alla ricerca di una migliore condizione di vita. Sono trascorsi cinquant’anni. Penso che tutti saremmo contenti di poterlo rivedere ancora e scambiare quattro chiacchiere.