La pagina personale di
Giuseppe Cordova




ALCUNE PAGINE DELLA MIA VITA


Sono nato a Reggio Calabria il 24 agosto del 1937, da genitori calabresi, ma di chiara origine spagnola, da parte di padre, risalente al '500 all'epoca di Ferdinando il Cattolico, durante la dominazione spagnola sul regno di Napoli. Il Sovrano, infatti ai fedeli e valenti Capitani di ventura spagnoli che avevano combattuto per la conquista del Regno, al termine del loro onorato servizio, assegnava una proprietà terriera, in maggior parte, in Calabria. Si creò così in Calabria, un numeroso insediamento di spagnoli da quali discendono alcune famiglie calabresi.
I miei primi ricordi risalgono al maggio del 1943 quando, essendoci nel porto di Reggio attraccate delle navi con rifornimenti, la città fu sottoposto ad un violento bombardamento. Mio padre, al termine dell'allarme, venne a prendere me e mio fratello presso un istituto parificato cattolico dove studiavamo. A bordo di una carrozza ci recammo nella casa colonica, sita a pochi km da Reggio, e che mio padre aveva preso in affitto qualche tempo prima quando ebbero inizio i primi bombardamenti degli Alleati sulla città. I bombardieri ritornarono ad ondate, di giorno e di notte, ed il bombardamento proseguì per tre giorni. Ricordo il rombo dei bombardieri (la cui rotta passava sopra la casa colonica), il sibilo delle bombe sganciate, il boato delle esplosioni, il bagliore delle fiamme, le scie dei traccianti della contraerea. Pochi giorni dopo partimmo per Caramagna, un paesino in provincia di Cuneo, nella speranza di allontanarci dalla guerra "guerreggiata". Invece capitammo nella zona dove fu più violenta la guerra civile tra nazi-fascisti e partigiani: di giorno vi erano i rastrellamenti tedeschi, di notte le incursioni dei partigiani. Mi è rimasto però un ricordo piacevole della nostra permanenza in quel paesino: la mia vecchia e cara maestra, la Signora Battisti. Mi sono subito affezionato a questa anziana donna e che, al termine delle lezioni, accompagnavo a casa portandole la borsa e lei che mi chiamava "il mio calabrisello". Dopo due anni rientrammo a Reggio Cal. e la nostra vita riprese tra tante macerie e tante speranze per il futuro: studi, sport (nuoto, calcio, pugilato), primi flirt, il diploma di Geometra, il concorso e ammissione all'Accademia di Modena unitamente a Nino (Spinella) e Ciccio (Caporale), miei concittadini.

Il 23 feb. 1963, in una splendida giornata di sole, in Viterbo nella chiesa di Santa Maria dell'Edera, io e la mia Franchina (conosciuta e fulminato nella "fatal" Torino) abbiamo coronato il nostro sogno d'amore. Ricordo ancora l'emozione che mi assalì quando la vidi apparire nel controluce del portone principale della chiesa con il velo che veniva sollevato dal vento. Iniziò così la nostra vita, il nostro percorso insieme, trascorrendo momenti bellissimi, indimenticabili, irripetibili. Ringrazio Iddio per avermi fatto conoscere la mia Franchina, per aver avuto il Suo amore ed il Suo affetto. Soprattutto ringrazio Dio per averci dato un inestimabile dono: un magnifico figlio, il nostro Mario. Nella strada percorsa, però, abbiamo anche incontrato ostacoli ed è stata costellata da vicissitudini che ci hanno lasciato delle profonde cicatrici. La salda unione spirituale che ci ha sempre sorretti, quel forte sentimento che ci ha uniti e che ci unisce, han fatto sì che insieme abbiamo superato le tragedia che ci hanno colpiti e dalle quali siamo sempre usciti più uniti e più saldi nel nostro amore. >
Tutto il resto è stata routine con qualche episodio che ancora adesso mi porto dentro perché ti ha profondamente colpito.
Nominato Tenente dei Bersaglieri, sono stato assegnato all'8° Reggimento Bersaglieri successivamente divenuto 8^ B. Bersaglieri Garibaldi) in Pordenone, dove ho trascorso venti anni della mia vita, conclusi con il Comando del 26° Battaglione Bersaglieri Castelfidardo. Trasferito al Anzio, al CIDE, ho svolto una interessante ed altamente qualificante attività di intelligence, in un periodo di notevoli mutamenti in Europa e dei primi fermenti nella sponda sud del Mediterraneo. Promosso Colonnello sono stato trasferito al Comando della Regione Militare Centrale con la carica di Capo Ufficio Affari Generali. Tra i compiti previsti dalla carica vi era quello di presiedere all'impegnativo e delicato incarico di responsabile delle attività di cerimoniale nella Capitale e in tutta la R.M.Ce. Quest'ultimo incarico, che concluse il mio servizio attivo nell'E.I., mi ha dato l'opportunità di conoscere illustri personaggi dell'epoca tra i quali alcuni Capi di Stato: da F. Cossiga a O. Scalfaro, da M. Gorbaciov a B. Eltsin, da G. Bush a B. Clinton, al Pres. dell'Argentina S. Menem e Sua Santità Papa Giovanni Paolo II, dal quale ho avuto il privilegio di aver somministrata per due volte la S. Comunione. Quest'ultimo, che ho conosciuto nei due incontri con la comunità militare avvenuti alla Cecchignola e nella Sala Nervi in Vaticano, è stato il personaggio che mia ha profondamente colpito: risaltava subito in Lui la forte personalità che, unita ad una soavità spirituale, ti ispirava tanta serenità e speranza nella vita.

Collocato in ausiliaria, ho collaborato per circa venti anni con il Gen. Luigi Ramponi nel suo impegno politico di Parlamentare in quattro legislature, acquisendo anche in questo campo nuove ed interessanti esperienze di vita e professionali.
In conclusione, nella mia vita di Ufficiale dei Bersaglieri, l'esperienze che mi hanno maggiormente colpito sono state la tragedia del lago del Vajont, che travolse Longarone il 9 ottobre del 1963 ed il terremo che colpì il Friuli, del 6 maggio 1976, che rase al suolo la maggior parte dei centri abitati della zona NO della Regione.
In entrambe le circostanze fui tra i primi soccorritori che giunsero sul luoghi dei disastri ricevendone un violento impatto per le tremende immagini di quelle immani catastrofi.
A Longarone non fu altro che uno straziante recupero di morti e quando, il giorno dopo la tragedia, il mio plotone fu sostituito, per tutti noi fu un sollievo perché finiva una angosciante situazione d'impotenza davanti a tanto dolore.
Ad Osoppo (dove operò per tutto il periodo dell'emergenza l'8^ Brigata Garibaldi) giunsi alle 23,30 del 6 maggio del 1976, accompagnando il Vice C.te della B. Col. Bertolazzi, per organizzare, d'intesa con le Autorità locali, i soccorsi alla popolazione colpita: anche qui si presentò una visione spettrale. Vedemmo tante tragedie umane che coinvolsero quella popolazione per centinaia e centinaia di morti. Si ebbe, però, il contrappeso di tante gioie e di tante soddisfazioni sia per le molte vite che potemmo salvare, sia per il conforto che potemmo dare a chi tanto aveva sofferto. Al termine dell'emergenza la popolazione volle fare una festa per ringraziarci di quanto avevano loro dato: per noi fu un distacco con molto dispiacere ma con l'orgoglio per quello che avevamo fatto e che si era realizzato. In questo contesto una parentesi personale: la mia abitazione (al "Grattacielo") fu fortemente lesionata e l'edificio dichiarato inagibile. Rimasi per diverse ore senza poter avere notizie della mia famiglia e lascio immaginare il tourbillon di sentimenti che avevo: dover prestare soccorso e non avere notizie di mia moglie e di mio figlio. Successivamente, mentre mia moglie, mio figlio e mia suocera vivevano in macchina nel parcheggio del caserma, io per parecchio giorni feci la spola tra Osoppo e Pordenone, sia per star vicino ai miei, sia per trovar casa e ritornare a vivere, quasi, nella normalità.
In questa mia pagina non ho scritto le mie memorie ma ho voluto raccontare l'esperienze più importanti della mia vita, quelle che rimangono dentro e non si potranno mai dimenticare!

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