Alla fine....

Personaggi: Un allievo del 14° Corso





Un giorno lontano, in agosto, l'avventura in Accademia finì. Avevamo la giacca bianca, i bottoni dorati ed il viso abbronzato; nella mente, nel ricordo, lo strano odore delle foglie e dell'erba dell'Appennino.
Molti di noi, ed io fra quelli, avevano giurato che mai e poi mai avrebbero rimesso piede nel Palazzo Ducale.
Quando la vita è stata agra, rifuggi da tutto ciò che può farla rifiorire nella tua memoria.
Ma eravamo diventati Ufficiali: qualcosa era scesa su di noi, qualcosa come la spada che, toccandoti una spalla, faceva di te un Cavaliere, o, come il bacio di un Cardinale che, in altro luogo e con altra sorte, rendeva qualcun altro "sacerdote in aeternum”.
Lasciavi alle spalle due anni di tormento, di notti agitate, di mete sempre più lontane e difficili, di lettere che non arrivavano mai, del sonno che tardava a venire, di quel benedetto sole che non ne voleva sapere di sorgere.
Settimane intere di nebbia e di "coniche", di pioggia e di teoremi, con quel groppo in gola che non vuole andare giù, mentre fuori....fuori, i miei coetanei vivevano la follia di quegli anni irripetibili che la giovinezza rende magici e tu, tu eri lì a masticar fiele, a rimpiangere l'odore del vento, a scrutare che qualcuno non si fosse appostato dietro le colonne per impedirti, come disse Aldo Flora, di sognare.
Le cinque e trenta del mattino segnavano il momento dei sogni più belli, nei quali due occhi lontani ti stavano guardando e ti domandavano: "Perché,,,...,..perché?...." E tu eri lì ed il soldato della centrale sonora si divertiva a strisciare il dito sulla puntina del grammofono e tu sapevi che, tra poco, quegli occhi si sarebbero fatti più lontani e tu li confinavi nel cuore, nel profondo del cuore tuo, dove nessun Tenente e nessun Cappellano sarebbe venuto a curiosare malignamente.
Oggi ci rivediamo e pensiamo a quel tempo con nostalgia. Ma, davvero, è nostalgia di ciò che vivemmo, o non, piuttosto, che lasciammo?
Ci accomunava il pane amaro, l'eterna rinuncia, la riluttanza a sorridere. Siamo tornati in Accademia, ripercorrendo mulattiere della memoria, obliosi di quel voto e di quel tormento.
Ricordate la canzone indiana "Ho lasciato il mio cuore a Wounded Knee"?
Ma quel cuore che il pellerossa lasciò, rimase solo a significare il suo rimpianto, l'amore per la sua terra e per quello che rimaneva delle sue speranze. Poteva tornare a riprenderselo: bastava che tornasse a Wounded Knee.
Noi lasciammo di più. Noi, nell'androne dell’ala "Montecuccoli", la sera in cui - alla fioca penombra creata dalla lampada del Carabiniere - posammo per terra la valigia, noi,
con quella valigia, posammo e lasciammo lì la nostra giovinezza.
I1 pellerossa ancor oggi può tornare a riprendersi il suo cuore. La nostra giovinezza rimase su quel selciato.
Non volemmo raccoglierla. Ed essa fuggì, sdegnosa, passò sopra ai monti e, come disse William B.Yeats, "nascose per sempre il suo viso fra un nuvolo di stelle".