17 ÷ 19 ottobre 2007 - Il nostro Cinquantennale
Il discorso del Gen. C.A. (ris) Bruno ZOLDAN, Capocorso del 14° Corso


50° ANNIVERSARIO INGRESSO IN ACCADEMIA DEL 14° CORSO

Signori Ufficiali del 14° Corso, gentili Signore, Comandanti, Docenti e graditi ospiti, Cinquant’anni fa, il 28 ottobre del 1957, qui, in questo palazzo ducale, noi allievi del 14° corso ponevamo la prima pietra della nostra vita militare.
Prima di rievocare brevemente alcuni aspetti e momenti di questo percorso, a nome di tutti i colleghi esprimo sincera gratitudine al Gen. Div. Francesco Tarricone, comandante dell’Accademia e tutto il quadro permanente dell’Istituto, per l’affettuosa accoglienza riservataci, perché senza di loro questo indimenticabile, almeno per noi, raduno non sarebbe stato possibile. Un saluto agli Ufficiali frequentatori del corpo di Sanità e del corpo degli Ingegneri e, se mi è consentito, uno particolare agli allievi del 188° corso “Fedeltà” e 189° corso “Orgoglio”, schierati in armi con la fanfara della B. alp. Taurinense, che hanno dovuto inserire tra i pressanti impegni di studio e di istruzione anche questa cerimonia. Spero proprio che questa giornata sia per voi non solo un momento di impegno fisico ma anche, e direi soprattutto, un momento di riflessione e di formazione spirituale, che vi possa tornar utile nella vostra futura vita di Ufficiale.
Ed infine per ultimo, ma non per questo meno meritato e sentito, un ringraziamento ai collegi che si sono adoperati per questo raduno, in primo luogo all’ infaticabile Nicola Canarile, segretario e factotum del corso, sempre ed ovunque sostenuto nella sua diuturna fatica da Mario Sabatino e, qui a Modena, da Luigi Lo Marco. Un grazie anche a Duilio Arzilli, curatore di ogni nostra produzione libro-documentale.
Oggi è con gioia e commozione che posso incontrare tanti colleghi del 14°corso, che hanno voluto e potuto, quasi tutti in compagnia di familiari, essere presenti.
A voi tutti, fraterni amici, un forte abbraccio ed un sincero grazie.
Ricordiamo però ora in primo luogo i nostri 55 colleghi che non ci sono più, a cominciare dal nostro primo compagno di corso caduto in servizio, ucciso assieme a sei suoi uomini, nella strage mafiosa di Ciaculli, il tenente dei Carabinieri Mario Malausa, già ufficiale dei carristi. Ad essi ed a tutti quelli che, nelle varie epoche e con diverse imprese, si sono sacrificati per il bene della nostra Italia. Alla bandiera dell’Istituto, che tutti li ricorda e li rappresenta, noi allievi del 14° corso ci inchiniamo con infinita devozione.
Il nostro saluto va anche ovviamente a tutti i colleghi viventi che non hanno potuto o voluto, per qualsiasi motivo, essere presenti, molti dei quali si sono fatti vivi a voce o per iscritto. Anche ad essi ci sentiamo vicini, perché i due anni trascorsi assieme in Accademia ed i successivi anni, specie quelli di comune vita militare, ci hanno uniti e ci uniranno per sempre.
Premetto che quando nel mio discorso parlo di Esercito, mi riferisco anche all’arma dei Carabinieri, perché ai nostri tempi, come diciamo noi anziani, i Carabinieri erano la prima arma dell’ Esercito e solo pochi anni fa sono diventati quarta forza Armata. E poi perché, in aggiunta agli allievi Carabinieri del 14° corso già presenti in Accademia, molti tenenti delle varie armi del nostro corso sono successivamente transitati nei Carabinieri e non pochi di essi hanno raggiunto nella nuova Forza Armata il grado vertice di Generale di Corpo d’ Armata.
28 ottobre 1957, mezzo secolo fa. Sono passati 50 anni, la maggioranza dei quali trascorsi in servizio, 50 anni di dedizione all’Esercito che hanno talvolta posto in secondo piano i nostri affetti familiari ed i nostri interessi personali. E ciò vale soprattutto per quei colleghi che, per le vicende imperscrutabili della vita e non certamente per demerito o insufficiente dedizione, non hanno avuto nella carriera meritati riconoscimenti di alti gradi o di importanti incarichi, ma hanno comunque sempre continuato a tirare, come si dice in gergo, la carretta, con lodevole tenacia, ponendosi quale esempio ai colleghi più fortunati e contribuendo così in modo determinate alla funzionalità dell’Esercito.
50 anni che comunque ricordiamo con serenità, appagati dal nostro lavoro, sicuri delle nostre scelte e della validità delle nostre decisioni, ricchi soprattutto di soddisfazioni morali.
50 anni di vita talvolta dura, ma che mai avrei cambiato con nessun altro impegno ed alcuna professione perché si è trattato di una vita attiva, sempre in tiro, come si dice, vita impegnativa sotto l’aspetto spirituale, intellettuale e fisico, a contatto con giovani, talvolta riluttanti e diffidenti, ma comunque non restii al dialogo, quando convinti dalla forza della ragione e dall’ esempio.
E se oggi ci troviamo qui è perchè i valori, che ci hanno spinto ad intraprendere la carriera militare, 50 anni fa, sono valori forti, che si sono sempre più consolidati nel tempo. Essi possono essere sintetizzati nell’ amor di Patria o, con parole più semplici, nell’ amore per la propria terra e la sua gente, nel convinto rispetto della nostra storia, delle nostre tradizioni e delle istituzioni, nel riconoscimento del primato della eguaglianza, della giustizia, della democrazia e non ultimo della libertà, nelle sue diverse forme, ma sempre nella doverosa osservanza delle leggi, specie di quelle che minoranze troppo spesso prepotenti sono portate a violare.
E questi valori, all’ inizio certamente embrionali, proprio qui in Accademia si sono rafforzati e plasmati, in due anni di severo ma necessario tirocinio. E se oggi celebriamo proprio qui il nostro Cinquantennale è perché i due anni in Accademia, tra tutti gli anni di servizio prestato, sono quelli che più degli altri sono stati determinanti nella formazione del nostro carattere e nella nascita dello spirito del 14° corso. E questo grazie all’ opera appassionata e tenace dei nostri Ufficiali di inquadramento, dei nostri sottufficiali istruttori, degli insegnanti civili e militari che ci hanno guidato in questo intenso processo formativo, alcuni dei quali sono oggi qui presenti accanto a noi.
Ad ognuno di essi va il nostro profondo ringraziamento. Vorrei menzionarli tutti, uno per uno, perché ognuno ha avuto una parte importante, una sua parte nella nostra formazione.
E chiedo scusa agli altri se ora, tra i presenti, ne nomino solo uno. In quei due anni era un tenente comandante di plotone, ma da allora, con la passione e la tenacia che gli sono proprie, ha sempre seguito le vicende del 14° corso al punto che egli stesso si considera partecipe di due corsi, il suo, il 7° corso, ed il nostro, il 14° corso.
Lo voglio nominare anche perché è stato oggetto, nel 1993, di un’indegna campagna diffamatoria che lo ha portato a dimettersi volontariamente, e sottolineo volontariamente, da Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, proprio per rispetto di quei principi morali a cui egli si è sempre richiamato e che sono propri di ogni vero Comandante. Mi riferisco, come voi tutti ex allievi del 14°corso avete già compreso, all’ allora Tenente di Fanteria Goffredo Canino, poi generale di Corpo d’ Armata, Capo di Stato Maggiore dell’ Esercito dal 1990 al 1993.
Torniamo al 28 ottobre 1957. L’ anno prima c’erano stati i fatti di Ungheria e la crisi di Suez.
Eravamo in periodo di piena guerra fredda e le forze armate del mondo occidentale, riunite nella NATO, avevano soprattutto il compito di difendere i loro paesi, specie l’ Europa, dal pericolo che veniva da est. L’ Esercito Italiano era costituito nella quasi totalità da giovani coscritti che dovevano dedicare una parte dei loro vent’anni al servizio militare. La nostra attività consisteva in un ciclo addestrativo continuo, possiamo immaginarla come una catena di montaggio, che si concludeva con la formazione completa del soldato, che poi veniva congedato, e che mai, fortunatamente, fino a tutti gli anni 80, si è conclusa con il suo impiego in attività operative di fronte a forze potenzialmente ostili, eccezion fatta per il Libano negli anni 82-84.
Erano giovani in cui noi ufficiali dovevamo far nascere e crescere il senso del dovere ed il senso dello Stato, giovani che dovevamo preparare soprattutto per la difesa in armi dell’Italia.
Compito non facile perché non tutti gli italiani consideravano il servizio militare come un sacro dovere sancito dalla nostra costituzione. Queste difficoltà sono diventate maggiori dopo il 1968, quando la cultura del mondo occidentale ha subito uno sbandamento e frange estremiste di sinistra e schegge cattoliche, che si proclamavano pacifiste, manifestavano faziosamente contro le Forze Armate al punto che ci sono stati momenti in cui indossare la divisa era motivo di derisione e talvolta scontro.
Sono stati anni difficili per il Paese e per le Forze Armate, da cui , grazie all’ opera appassionata e responsabile di molti suoi cittadini, con i militari, specie i Carabinieri, in prima fila, l’ Italia è riuscita ad uscirne.
Ora fortunatamente, la grande maggioranza degli italiani guarda con sufficiente simpatia alle sue Forze Armate. Ed io porgo questo augurio a voi giovani allievi del 188° e 189° corso: che gli Italiani si sentano sempre più vicini all’ loro Esercito ed ai Carabinieri, com’ è in ogni altro paese del mondo occidentale, ove le Forze Armate sono tenute in grande considerazione perché esse qualificano il paese. Infatti valga l’ assioma: Paese importante, Forze Armate adeguate e viceversa.
E ciò è particolarmente vero nel momento attuale in cui, oltre alle classiche minacce di sempre, incombe la minaccia terroristica internazionale che non ammette debolezze e non ammette soste e che può colpire ogni giorno qualsiasi inerme cittadino.
Mi auguro quindi che le istituzioni responsabili comprendano come l’ Esercito non possa essere sostenuto a parole ma necessiti di fatti. D’ altronde, ai militari vengono chiesti fatti e non parole.
Oggi le Forze Armate – che, è opportuno ricordare, appartengono a tutti gli Italiani e non sono proprietà e responsabilità dei soli militari – hanno bisogno di mezzi all’ avanguardia e di un intenso e mai interrotto addestramento e quando le risorse finanziare, com’ è naturale, sono scarse, è necessario, come in ogni buona famiglia, fissare ed osservare rigide priorità nelle spese, non subordinando mai le esigenze in mezzi per l’ Esercito a quelle più forti, da un punto di vista politico-industriale, delle altre Forze Armate, anche perché, come si è visto in questi ultimi vent’ anni, è l’ Esercito che viene soprattutto, o quasi esclusivamente , chiamato all’ impiego reale.
Ricordando sempre però che la prima risorsa (la prima arma dell’ Esercito) è l’ uomo ed un soldato non ghettizzato e con accettabili prospettive di vita: è la condizione irrinunciabile per avere un buon Esercito ed un numero adeguato, in quantità e qualità, di aspiranti volontari.
Ed anche voi, Ufficiali frequentatori ed allievi del 188° e 189°corso, dovete cercare sempre di migliorarvi perché questo è il modo più efficace per garantirsi la stima dei nostri cittadini.
E ricordatevi che ogni vostra azione ed ogni vostro comportamento viene considerato dagli Italiani come fosse proprio di tutti i militari. Chiunque di noi si comporta bene, apporta onore all’ Esercito, chiunque di noi, chiunque di voi pecca, determina giudizi negativi su tutta la Forza Armata.
Altro momento topico di questi 50 anni è stato il 1989, con la caduta del muro di Berlino, lo sfaldamento dell’ Unione Sovietica e delle Forze Armate del Patto di Varsavia. Questi avvenimenti hanno determinato il cambiamento totale dello scenario politico- militare mondiale. E quasi per paradosso, cessata la più pericolosa ed incombente delle minacce, la nostra Forza Armata proprio allora ha incominciato ad essere massicciamente impiegata in Italia e soprattutto all’ estero.
A partire da quegli anni l’Esercito è stato infatti chiamato ad operare, con compiti sempre più impegnativi e responsabilità sempre maggiori, in altri paesi, tra cui non possiamo non ricordare, tra gli impegni ancora in atto, la Bosnia, il Kosovo, l’ Afganistan ed il Libano, senza dimenticare, tra quelli passati, il Mozambico, il Kurdistan, la Namibia e Timor Est, ma soprattutto la Somalia e l’Iraq, ove abbiamo pagato un pesante contributo di sangue.
L’ Esercito italiano, inoltre, rispetto alle altre forze armate dei paesi NATO, ha avuto nei primi anni ’90 un intenso e prolungato impiego in molte regioni del territorio nazionale in attività contro la criminalità organizzata e contro il terrorismo, a sostegno delle forze di polizia.
Ovviamente durante gli anni ’90, gli ufficiali del 14° corso in servizio, per l’età posseduta ed i gradi conseguiti, non hanno potuto partecipare, salvo in pochi, alle attività sul terreno, ma sono stati parte determinante delle attività di pianificazione, organizzazione e direzione svolte in Patria, condizione determinante di ogni successo.
E tutti i risultati sono stati brillantemente conseguiti impiegando un Esercito di coscritti a cui ancora oggi noi, vecchi soldati, dobbiamo esprimere il nostro grato e meritato plauso.
Però, già prima di quegli anni, gli Italiani hanno cominciato a manifestare una sempre maggiore opposizione al servizio di leva. Il numero degli obiettori, cioè di coloro che per dichiarati motivi di coscienza o per tornaconto personale, si sottraevano al servizio militare, è andato sempre più crescendo. E’ stato così necessario e naturale sostituire il coscritto con il volontario. Non più quindi l’obbligo per tutti, diventando in realtà solo teorico, ma la possibilità per pochi, comprendendovi anche la componente femminile, e ciò ha ovviamente comportato una profonda trasformazione della struttura e dell’organizzazione delle Forze Armate che ha interessato soprattutto l’Esercito ed il suo personale. Voi ora, giovani ufficiali e futuri giovani ufficiali, dovrete quindi addestrare ed impiegare, ripeto impiegare, altri giovani che come voi hanno scelto la professione militare. E voi, per rango posseduto e perché il primo dovere di un Comandante è l’esempio, voi , proprio voi, dovrete essere , istante dopo istante, in servizio e fuori servizio, il modello concreto a cui questi giovani volontari potranno e dovranno fare riferimento. E ciò vale specialmente quando, impegnati in nome dell’ Italia al di fuori del territorio nazionale, vi potrete trovare in situazioni più difficili di quelle in cui ci siamo trovati noi, situazioni in cui vi può essere richiesto, come già purtroppo è avvenuto, anche il sacrificio della vita.
Un’ultima considerazione. In questi cinquant’anni di vita abbiamo dovuto affrontare, come ho detto, momenti e situazioni talvolta impegnativi, non solo come condizioni di vita, ma anche sotto l’aspetto morale. In quei momenti, oltre che la fede in Dio e la saldezza dei nostri principi, ci è stato di fondamentale ed indispensabile aiuto il sostegno delle nostre famiglie e degli amici. E quando parlo di famiglie mi riferisco in primo luogo, alle nostre mogli, alle nostre compagne. Nel vivere accanto a noi e nel sopportare con noi e per noi disagi ed incomprensioni, spesso in movimento per l’ Italia. Queste compagne hanno dovuto essere come noi, più forti di noi e sentire come noi i valori pregnanti della nostra professione. Questa realtà, giovani ufficiali e giovani allievi, le vostre compagne e compagni dovranno aver presente. Alle nostre mogli va quindi il nostro affettuoso e riconoscente abbraccio, con un pensiero particolare a quelle che purtroppo ci hanno prematuramente lasciato.
Oggi si chiude anche formalmente il cerchio della nostra vita militare, il lungo iter del 14° corso iniziato proprio qui cinquant’anni fa. Ciò anche se noi saremo militari nell’ animo fino all’ ultimo istante della nostra vita. Ora solo il Generale Rolando Mosca Moschini, attuale Consigliere Militare del Presidente della Repubblica, continua il suo cammino oltre questo cerchio. Noi ci congratuliamo con lui e lo preghiamo di continuare a ricordare a tutti gli uomini delle istituzioni, dal presidente della Repubblica sino all’ ultima autorità competente, qual è l’ essenza della vita militare, lo spirito che l’ anima, i sacrifici che comporta ed i diritti che, secondo giustizia, i suoi uomini e le sue donne, sempre silenziosi, ampiamente si meritano.
Carissimi amici del 14° corso, un abbraccio a tutti voi, un abbraccio a ciascuno di voi.
Vi ringrazio per quello che avete fatto per il nostro Paese, per la nostra Italia. Vi ringrazio per quello che avete fatto per l’ Esercito. Vi ringrazio per essere stati il 14° corso. Io sono onorato ed orgoglioso di essere il vostro capocorso, anche se questo titolo è ovviamente solo onorifico e si riferisce ad eventi di 50 anni fa.
Io spero che Iddio ci riservi, diciamo così, una terza e quarta età, sufficientemente serena, in accettabile condizioni di salute, circondati dalla stima dei nostri cari e degli amici, a cui noi si possa dare, in totale umiltà, aiuto e consiglio, rispettandone comunque sempre in toto le autonome decisione.
Un saluto particolare poi agli allievi del 188° e 189° corso ed agli ufficiali frequentatori, con l’ augurio più sentito di un futuro ricco di soddisfazioni e successi, più di quanto lo sia stato per gli allievi del 14° corso. E ciò avverrà sicuramente perché la vostra attuale dura preparazione ed il vostro tenace duro impegno non potranno non ottenere, quanto meno, la considerazione e la riconoscenza del popolo italiano.
A tutti gli altri presenti, giovani ed anziani, il mio fervido ed il mio sincero grazie.
Viva il 14° corso, viva l’Esercito ed i Carabinieri, viva l’Italia.